USA: esportatori di sorprese!
È praticamente un mese che sto cercando di trovare un punto fermo per scrivere qualcosa.
Purtroppo in un mese è successo qualsiasi cosa.
Siamo passati dal crollo dei mercati perché gli USA avevano litigato con il resto del mondo, al crollo dei mercati perché gli USA hanno attaccato l’Iran.
Se qualcosa non torna dalla vostra memoria finanziaria, non preoccupatevi.
In realtà ho scritto quello che ci saremmo aspettati se avessimo utilizzato la percezione nell’analisi degli investimenti.
DAZI E GUERRA
Come già detto i mercati hanno reagito in maniera spropositata rispetto all’introduzione dei Dazi da parte degli USA, uno storno del 20% era esagerato, pensiamo a quando si bloccò il mercato mondiale nel 2020 e il mercato scese del 30% era chiaro che la proporzione fosse eccessiva.
Ora il balletto è rimandato al 9 luglio, data di scadenza della proroga all’Europa, ma in mezzo ci sono altre scadenze non meno delicate e particolari.
Aspettiamoci che l’Amministrazione USA cambi opinione in qualsiasi momento. Io stesso nel mentre sto scrivendo questa mail, sto evitando di leggere i giornali e le notizie, per non rischiare di essere influenzato dall’ultima versione della Trumpeide (come la chiama uno dei miei economisti preferiti)…
Passiamo al secondo evento di maggior attenzione delle ultime settimane: la guerra Israele-Iran e l’intervento USA. Anche qui i mercati avrebbero dovuto reagire in maniera emotiva, invece hanno fatto spallucce.
Questo ci insegna quanto complesso sia il mondo della finanza. Il mercato ha sempre più informazioni di noi e questo dimostra quanto sia velleitario pensare di avere informazioni in anteprima.
I VERI BISOGNI DEGLI USA
Per quanto il Presidente USA sia discutibile, grottesco e ognuno aggiunga la sua interpretazione, di sicuro ha una particolarità: si lascia sfuggire dettagli importanti.
Quando parlava di Groenlandia ha detto “ne abbiamo disperatamente bisogno”. Trump è uno che usa un vocabolario molto ristretto (per questo ha fatto breccia in una gran parte di elettorato) e quel “disperatamente” era sincero. Ma a cosa serve la Groenlandia agli USA? Spazio vita? Habitat più consono al riscaldamento globale? No: materie prime, in particolare le famosissime terre rare! Quelle che stanno dentro il telefonino che usate per leggermi, o al computer di bordo della vostra auto o a qualsiasi altro elemento elettronico che utilizziamo. Bombe comprese, ovvio!
Ne è emblematico l’accordo tra Congo e Ruanda (mi pare evidente che non sapessimo di un conflitto tra le due nazioni), per cui gli USA sono stati arbitro, si sono intestati il risultato e hanno approfittato per mettere il naso anche in Africa, generalmente zona di caccia della Cina.
Quindi gli USA continuano a fare gli interessi degli USA, cosa che succede da almeno 80 anni, con la differenza che se prima li facevano sembrando dei bravi ragazzi, ora lo dicono in maniera spudorata. Diciamo che magari un approccio più diplomatico salvaguarderebbe il futuro prossimo da possibili conflitti, ma non entro nel merito della politica internazionale, altrimenti non ne usciamo velocemente.
Resta sul tavolo il debito americano.
L’ELEFANTE NELLA STANZA
36.000.000.000.000 (leggasi trentaseimilamiliardi), pari al 120% del PIL, ma soprattutto con un tasso medio del 4,5% in una nazione che cresce forse del 2% all’anno.
Voi li prestereste i soldi a uno che deve pagare 4500 € all’anno di interessi e ne guadagna 2000?
Continuo a ricordare che non si parla di un imminente default degli USA, che rimangono ancora un importante traino mondiale, ma certamente qualsiasi mossa futura sarà funzionale a ridurre il debito.
Trump ci sta provando mettendo sotto pressione il Presidente della Federal Reserve perché abbassi i tassi. Powell fa i suo lavoro e non tocca i tassi di interesse, altrettanto consapevole del fatto che puoi abbassare i tassi quanto vuoi, ma se le aspettative sono di inflazione o di minor crescita, sarà il mercato a chiederti di pagare degli interessi e non guarderà certo il parametro di riferimento della FED. Ne abbiamo l’esempio in casa: nonostante i tagli della BCE il Bund tedesco è aumentato di rendimento dal 2 al 2,60% in 6 mesi, tutto perché il Cancelliere Merz ha previsto un aumento delle spese in deficit.
Quindi le potenziali chiavi interpretative del futuro prossimo restano ancorate al debito USA. A luglio verrà presentata la legge di bilancio per il nuovo anno, se dovesse essere come previsto finora, porterebbe il Deficit al 7% del PIL incrementando il debito. Se i dazi dovessero trovare una sorta di equilibrio (si parla del 10% reciproco, pari e patta) bisogna vedere che cosa decide di fare il dollaro. Perché le strade per ridurre il debito di solito sono 3: austerity, inflazione e svalutazione.
Trump non pare essere quello che va a dire che deve alzare le tasse, l’inflazione non fa vincere le elezioni (vedi Carter, Bush sr e Biden) e quindi rimane una sola strada: svalutare la moneta rispetto alle altre valute.
Non è detto che sia l’unica percorsa, ma non è da escludere. Tra l’altro un dollaro debole potrebbe rinforzare le esportazioni e migliorare la bilancia commerciale, dando ragione alla retorica dei dazi, ma solo alla retorica, non all’efficacia del sistema. Sarebbe una strada percorribile anche per “costringere” le produzioni nazionali rispetto a quelle estere che improvvisamente diventerebbero più care.
Ovviamente se tutto dovesse filare liscio gli USA sarebbero su una strada di risanamento dei conti, ma se dovessero, come temo, mantenere una dipendenza importante dal resto del mondo, forte di una difficile reindustrializzazione realizzabile se non in decenni, l’elemento che ne scaturirebbe sarebbe uno solo: STAGFLAZIONE, in pratica stagnazione economica in presenza di inflazione.
E se c’è una cosa di cui hanno paura i mercati azionari è proprio questo…